Il diritto allo studio è il principale mezzo di diffusione della cultura nei paesi civili. È anche il principale mezzo per la realizzazione personale. Studiare, infatti, non significa solo accrescere le proprie conoscenze (informazioni che entrano nella memoria), ma soprattutto significa organizzare queste informazioni affinché la propria personalità acquisti spessore e carattere. Significa entrare in contatto con realtà diverse, relativizzare e allargare la propria esperienza, imparare a ragionare, confrontarsi con opinioni, situazioni, culture altre. Lo studio e la cultura sono la base per una società composta da individui responsabili, maturi e consapevoli di sé.
Purtroppo nel mondo il diritto allo studio è violato in molti paesi e sono tuttora 57 milioni i bambini che non hanno accesso all’istruzione primaria. In particolare il diritto allo studio è violato con una netta discriminazione a danno degli individui di sesso femminile.
Qualche dato:
– l’analfabetismo maschile nel mondo oggi è del 19%
– l’analfabetismo femminile nel mondo oggi è del 34%
In Afghanistan, Burkina Faso, Mali, Nepal, Nigeria, Pakistan e Yemen circa 3/4 delle ragazze non ha completato alcun livello di istruzione; in Bangladesh, Guinea, Marocco e Senegal il numero non supera la metà. In Pakistan, in particolare, il tasso di analfabetismo raggiunge il 63% della popolazione, con la metà dei ragazzi che abbandonano la scuola primaria senza averla completata.
In questi stati e in molti altri non menzionati, dall’Africa all’America del Sud, accade spesso che i ragazzi e le ragazze debbano abbandonare gli studi per diversi motivi: molti sono costretti a lavorare, nonostante la giovane età; altri sono minacciati dai conflitti armati o da altre emergenze (bambini profughi); altri ancora non hanno la possibilità di accedere alla scuola perché troppo poveri: la maggior parte delle famiglie non può permettersi di acquistare libri di testo, materiale didattico, o pagare la tassa d’iscrizione scolastica. Per le bambine e ragazze si aggiungono ulteriori problemi: le gravidanze precoci, le pesanti incombenze domestiche, il persistente pregiudizio secondo cui la donna deve continuare ad essere subordinata all’uomo e come tale non ha la necessità di studiare per migliorare la sua posizione.
Tutti ricorderanno la storia di Malala, la giovane studentessa pachistana che nel 2012 subì un attentato ad opera dei talebani per avere voluto difendere il diritto allo studio per le bambine e le ragazze della valle Swat, in Pachistan. Sopravvissuta all’attentato è ritornata a scuola in Inghilterra e tre giorni fa è stata ospite dell’Onu dove ha tenuto un discorso sul diritto allo studio, sulla pace e sulla tolleranza: ‘Un bambino, un insegnante, un libro, una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione.’
Ha poi consegnato al segretario generale dell’Onu una petizione di 4 milioni di firme, raccolte online, per chiedere ai leader del mondo fondi per nuovi insegnanti, aule, libri e l’immediato stop allo sfruttamento dei bambini nei luoghi di lavoro, ai matrimoni forzati e al traffico dei minori perché si possa davvero garantire l’istruzione primaria universale entro il 2015.
Dovunque nel mondo, anche nella nostra Europa con le sue comunità Rom, ci sono tante piccole Malala che lottano per quello che dovrebbe essere un diritto. Spesso i ‘talebani’, dall’Africa all’Asia, le bambine ce li hanno in casa: hanno il volto di un padre che vede un peso economico in una figlia che vuole andare avanti negli studi. A volte l’istruzione negata è una questione di insormontabili distanze, una scuola lontana chilometri di savana dalla propria abitazione. A volte sono i fattori atmosferici a costringere migliaia di ragazze ad abbandonare i propri sogni sacrosanti. E’ anche una questione economica, naturalmente. Dimenticando però che il mancato accesso all’istruzione per una bambina ogni tre nel mondo è un’aberrazione che comporta anche un costo finanziario, una perdita nel prodotto Interno Lordo di una nazione, ancora più inaccettabile in tempi di crisi.
Nel mondo ci sono tante bambine e ragazze con tante storie diverse tra loro ma accomunate dallo stesso sogno: sedersi sui banchi di una scuola, riuscire ad emanciparsi, a slegarsi dai pregiudizi e dai lacci che le re-legano ancora oggi alla totale subordinazione all’uomo, riscattarsi e vedere finalmente riconosciuto quello che è un loro diritto, al pari dei maschi. La voglia di studiare è più forte dei pregiudizi e delle botte. Nulla ferma il desiderio di imparare! Ecco alcune storie.
Sylvia è la bambina che cammina ogni giorno per un’ora e mezza lungo la ferrovia e in mezzo alla savana per andare a scuola. Ha solo un paio di ciabatte e vive nel villaggio di Videnge, Tanzania, dove il 45% della gente ha meno di 14 anni. Sylvia ne ha 8; il padre è morto e la madre Marium si è risposata con un uomo che la considera una figlia di serie B, un peso economico perché vuole studiare.
Maryuri, 17 anni, fa granite in un bugigattolo vicino alla scuola che vuole a tutti i costi frequentare, in Perù. La madre le dà una mano e i risparmi sono abbastanza per dare da mangiare alla famiglia e comperare i libri. Il padre le aveva proibito di studiare perché ‘le ragazzine vanno a scuola, incontrano i ragazzi e rimangono incinte’. Maryuri ha disobbedito con il sostegno della madre. Sogna di fare la stilista di moda.
A 12 anni il nonno di Faridah, in Pakistan, vide un ragazzo che la molestava per strada: condusse a casa la nipote, la picchiò e le proibì di tornare a scuola. Il marito, che ha dovuto sposare a 15 anni, non è da meno. Lui lavorarva lontano ma quando è tornato e ha scoperto che lei ha ripreso a studiare ha iniziato a picchiarla.Due mesi fa l’ha buttata fuori di casa. Faridah ora vive con la madre. ‘Per lui il fatto che vada a scuola è un disonore: per la comunità una ragione valida per divorziare’.
Maria, 12 anni, non ha il problema delle merendine che fanno ingrassare. Anzi, spesso non fa colazione. Si alza alle 4 per vendere un po’ di verdura al mercato del villaggio. ‘Mia madre è malata, mio padre ci ha abbandonato quando stavo per nascere’. Andare a scuola a stomaco vuoto, dice Maria, non aiuta la concentrazione. Andarci con i vestiti stracciati, senza la divisa di ordinanza, provoca le risa dei miei compagni’. Eppure Maria va. E finite le lezioni torna al mercato, il suo primo lavoro.
Fonte ‘Corriere della sera’ 13/7/13
Come si può ben capire, la situazione è ancora molto drammatica e nulla cambierà fintanto che ci sarà chi ha paura dell’istruzione, cioè tutti coloro – individui, istituzioni, governi, multinazionali – che violano i diritti di qualcuno. L’istruzione è la bomba atomica dei poveri, di quelli che non hanno voce, di tutti coloro che credono che si possa fare giustizia e che le organizzazioni sociali debbono avere come primo compito proprio quello di fare giustizia.
Anche nei paesi del Brasile e del Mozambico in cui operano i missionari della Sacra Famiglia, spesso sono presenti arretratezza e povertà, non solo materiali ma anche e soprattutto culturali, sociali e morali, che impediscono a tanti bambini di accedere all’istruzione primaria oppure sono causa del precoce abbandono degli studi. Dove manca il pane è difficile dare un valore allo studio e all’istruzione, prima si deve cercare di sopravvivere. Ma questo crea un circolo vizioso di povertà, discriminazione e ignoranza, aggravato dalla pandemia di HIV-AIDS e, soprattutto in Africa, dagli effetti dei mutamenti climatici che flagellano il continente.
Col progetto delle ‘adozioni a distanza’ si ha l’ambizione di favorire l’ingresso e la permanenza dei bambini nel percorso scolastico, almeno quello basilare. Senza l’educazione e l’istruzione è veramente difficile riuscire a fare il salto qualitativo che porta questa gente alla libertà. E’ un processo che richiede molto tempo e dispendio di energie non indifferente ma è la sola strada da percorrere.
In Brasile e in Mozambico sono sorte molte scuole, da quelle dell’infanzia, alla primaria, alla secondaria e persino l’Università di Maxixe. Alcuni dei bambini mozambicani e brasiliani che sono entrati anni fa nelle scuole dell’infanzia dei padri della Sacra Famiglia oggi insegnano nelle scuole e nelle università, si sono diplomati e hanno un buon lavoro, molti hanno intrapreso un corso di laurea. Sono i frutti tangibili del molto lavoro portato avanti in questi anni, grazie anche all’aiuto generoso dei sostenitori del progetto ‘adozioni a distanza’.
Diamo una mano ai nostri missionari e incrementiamo i nostri sforzi per questi bambini e per dare loro ciò che gli spetta, non solo cibo e vestiti ma anche insegnanti, libri e penne.